martedì 7 aprile 2020

Un racconto: "Inseguendo un sogno"

Inseguendo un sogno


Stavo passeggiando per le vie del centro, quando ho udito dietro di me lo sferragliare delle ruote sul selciato.
Era buio e tutto risuonava amplificato.
Sapevo che mi stavano cercando.
La mia fuga da palazzo sarebbe passata per poco tempo inosservata.
Le guardie davanti alla mia porta sonnecchiavano con un orecchio teso e qualsiasi silenzio inappropriato avrebbe destato il loro interesse.
Il tempo stringeva.
Dovevo correre.
La carrozza si avvicinava di gran carriera, ho scrutato rapidamente il vicolo e mi sono buttata in un angolo di un portone buio ed accogliente.
Cosa avevo fatto? Perchè avevo deciso di lasciare la tranquillità della mia casa?
Dove sarei andata?
Troppe domande nella mia mente, ansia, affanno, irrequietezza.
Calmati Spirito!
Una cosa alla volta.
La carrozza passava veloce davanti a me, senza notare la mia presenza, che era avvolta nelle tenebre rassicuranti e amichevoli.
Era quella di mio padre, che già era stato informato del mio disparimento.
Una lacrima di rabbia riscaldava il mio volto.
“Il tempo di scoprire chi sono è giunto”, mi dicevo sicura e decisa, mai mi ero sentita tanto fiera di conoscere me stessa.
Iniziava a prendere forma nella mia mente una nuova immagine di Nicolosia, ancora incerta e dai toni pastello, ma sempre più consapevole.
Guardai dietro di me cercando di scoprire se ancora mi stesse inseguendo qualcuno.
Finalmente la strada era sgombra, raccolsi gentilmente le vesti e corsi a più non posso verso il battello che mi attendeva per Mantova.
Addio Brescia, addio mia cara, gentile e fedele Mafalda, amica sincera senza la quale mai avrei potuto organizzare la mia fuga verso la ricerca della nuova Me.
Il vecchio traghettatore eri in attesa del mio arrivo.
Era già stato ragguagliato sul da farsi: avrebbe dovuto caricarmi per la traversata verso la città di Mantova, fino al lago superiore, quello proprio nel cuore del centro abitato.
La mia ancella Mafalda già gli aveva lasciato in consegna una sacca con gli abiti adatti a trasformarmi in serva e qualche denaro per i suoi servigi.
Sapevo che non sarebbe stato per niente semplice questo cambiamento di vita così radicale: avrei dovuto nascondermi nella casa di sua cugina, ma soprattutto avrei dovuto iniziare a lavorare come serva in casa dei Signori Gonzaga.
Ero stata messa al corrente che questi Signori, di generazione in generazione, amavano l’arte e in particolar modo la pittura.
Volevo circondarmi della possibilità di conoscere coi miei occhi tutti i più grandi artisti del tempo, che si recavano dal grande mecenate Ludovico, per soddisfare la mia fame di pittura.
In fondo ero la sorella di artisti notevolmente riconosciuti come Gentile e Giovanni già sapevano di esserlo, ma tanto gelosi della loro posizione che nemmeno volevano farmi accostare alle tavolozze.
Per non parlare di mio padre!
Ero femmina e come tale dovevo restare a fare ricamo e a occuparmi della vita coniugale che lui stesso stava programmando al posto mio e niente più.
Mai avrei potuto nella loro casa avvicinarmi ai colori, allo studio dell’Antico, all’esperienza del disegno e alla consapevolezza della mia traccia sulla tela.
Questo mondo era dedicato esclusivamente agli uomini, ma il mio animo scalpitava chiedeva soddisfazione, la mia mano chiamava l’Arte a gran voce e dentro lo spirito non avrei mai trovato la pace se non avessi dato ascolto alla sua chiamata.
Dovevo dipingere, dovevo respirare la pittura.
Dovevo provare me stessa.
E così, ascoltando e leggendo per lei la corrispondenza della cugina Agata, mi arrivò l’ idea di partire, di lasciare tutto e tutti alla ricerca della mia vera natura.
Doveva pur esistere qualcuno disposto a mostrarmi cosa fossi in grado di fare.
Quella notte era giunto il momento di uscire da palazzo con la cognizione che mai più sarei potuta ritornare indietro.
Nessuno della mia famiglia avrebbe potuto mai perdonare il terribile affronto della fuga.Salii sul battello diretto a Mantova, tutto stava andando secondo quanto avevamo previsto, non mi restava che pazientare fino alla fine del viaggio.Il vecchio traghettatore si era dimostrato comprensivo, non aveva fatto domande, mi aveva accolto rassicurandomi di accompagnarmi sana e salva fino a destinazione.Mi aveva indicato il punto più sicuro del battello: dietro le cassi di viveri ingombranti e numerose, che nella loro imponenza potevano agevolmente nascondermi fino al momento di scendere al porto di Mantova.Non appena mi ero sistemata, mi sono addormentata stanca, sfinita, ma serena di ciò che mi aspettava all’arrivo.Durante il sonno sono comparse nella mente numerose immagini, tra cui una discussione animata con mio padre, sapevo in cuor mio che non sarebbe mai potuto accadere realmente, ma desideravo poter spiegargli le ragioni di questa scelta ai suoi occhi tanto estrema, ma tanto necessaria per me stessa.Stavo sognando di raccontargli quello che veramente sentivo nel profondo: l’immenso desiderio di scoprire se fossi realmente una brava pittrice.Avevo conosciuto nella mia famiglia questa nobile Arte, avevo sempre in segreto coltivato la passione per poter un giorno io stessa esporre qualche mio lavoro, mi sarei accontentata anche di vederlo nell’ intimità delle mie stanze.Volevo soltanto che lui me ne desse la possibilità.Ricordo che avemmo avuto una furiosa discussione in proprosito, perchè aveva scoperto in un angolo della mia stanza da ricamo dei colori che avevo sotratto ai miei fratelli per poter dipingere nascosta almeno nel mio silenzio.
Avevo cercato già allora di farmi ascoltare ed accettare per ciò che sono, ma non aveva voluto sentire ragioni: “Le donne devono fare le donne”, mi aveva detto aspramente, avrei dovuto concentrarmi soltanto nel diventare una buona moglie e un’ottima madre.La mia di madre era stata ottima, fino alle fine dei suoi giorni su questa terra, ci aveva amati tutti e a me aveva insegnato a rimanere libera nell’animo.Mi aveva confidato con il suo ultimo respiro di amarmi per qualunque cosa avessi deciso di intraprendere.Mi aveva lasciata così, con il ricordo di dover scegliere chi fossi in realtà, senza farmi condizionare dal buon costume o dalle regole rigide che mio padre avrebbe voluto inculcarmi.Nel sogno cercavo di guadagnarmi almeno due minuti di dialogo, per dirgli che lo apprezzavo per tutto ciò che mi aveva offerto, ma che dovevo essere ciò per cui sono nata…ma mi sono svegliata all’improvviso e non ho mai saputo se, finalmente nel sogno, ero concretamente riuscita a dialogare con lui.Stava albeggiando e Mantova era li davanti a me.Bellissima, preziosa come un bocciolo di rosa, piena di vita e finalmente accogliente.Prima di approdare mi ero cambiata rapidamente i miei abiti di corte con quelli adatti a calarmi nel mio nuovo ruolo di serva di palazzo.Per essere sicura di aver cancellato ogni traccia del mio passaggio dovetti gettarli nel lago.Il traghettatore mi aveva fornito gentilmente un sacco dove poterli racchiudere e ancorarli col peso necessario perchè non risalissero mai più in superficie.Addio vecchia Nicolosia, mai più sarò la sorella di Gentile e Giovanni, tra qualche tempo, se il Cielo lo vorrà, sarò una donna nuova.Il battello era adesso giunto a destinazione.Appena ho messo piede su quel nuovo terreno, subito ho avvertito la sensazione che mi sarebbe capitato qualcosa di bello.Intorno a me al porto c’ erano numerose barche, dalle quali stavano scendendo nobili signori provenienti dai più diversi territori, che portavano con loro stoffe preziose, spezie profumate e alimenti che mai avevo avuto il piacere di saggiare.C’ erano anche pescivendoli che arrivavno sia dal centro del lago ricco e pescoso sia dal lontanto delta del Pò.Il lago di Mantova riusciva a coniugare in se tante persone coi loro desideri, con le loro speranze, proprio come me in quel momento.La città era conosciuta perchè il ricco mecenate che la governava offriva la propria ospitalità alla cultura e a chiunque avesse le doti necessarie a rappresentarla.I Signori di Gonzaga avevano la mente aperta ed accogliente per tutti coloro che avessero doti artistiche, per questo volevo venire qui a tutti i costi, pur consapevole che avrei potuto fallire e incappare in seri guai.Adesso la cosa importante era trovare Agata.Mi guardavo attorno con lo sguardo interrogativo verso tutte le figure presenti, cercando di individuarla prima di lasciare il mio traghettatore rassicurante.Sapevo che era una signora alta, scura di capelli e di carnagione mulatta, forte e robusta, anche lei aveva ricevuto la mia descrizione per non sbagliare.Inoltre ci eravamo costruite anche un messaggio in codice per poterci riconoscere senza il timore che le guardie di mio padre potessero piombare su di noi.La frase in codice era “i colori ci attendono”.Così avrei avuto la garanzia di essere di fronte alla vera Agata e anche lei si sarebbe sentita al sicuro di non essere stata scoperta, infatti stava rischiando molto nel porgermi il suo aiuto e chissà poi perchè aveva accetto di farlo!Era una buona cristiana, credeva nell’ aiuto reciproco anche se la sua vita non era stata con lei clemente, ma ancora professava l’ aiuto fraterno.Così quando dalle lettere le avevo dichiarato quali fossero le mie intenzioni non ebbe un attimo di esitazione a tendermi la sua mano, già da allora le ero affezionata e avevo messo in campo tutte le mie astuzie per non mettere in pericolo nè lei nè la mia adorata Mafalda.Il porto era molto frequentato, perché era il punto centrale sia dei commerci sia della rete comunicativa.Un gran via e vai di persone intente a cercare parenti e amici che arrivavano dalla navigazione lungo il fiume per scambi di merci o relazionali.Finalmente l’avevo riconosciuta nella folla: una bellissima donna forte, provata dalla sua dura esistenza, ma illuminata nel volto dalla fiducia nella vita.Mi salutò e ci scambiammo “i colori ci attendono”.Non avevamo molto da dirci nel frastuono del porto, bastarono uno sguardo e un sorriso per incamminarci fianco a fianco.Attraversammo lo stradone che conduce verso il centro storico e maestoso si ergeva il palazzo dei Gonzaga, impossibile non vederlo.Inevitabilmente le cupole del Palazzo sovrastano lo spazio ed è piacevole lasciarsi guidare dal loro aspetto imponente, attraverso la Piazza delle Erbe dove di consueto si svolge il mercato, per giungere finalmente alle porte della Corte.La Torre dell’ Orologio rintoccava le otto, puntuale Agata sbattacchiava il portone della servitù  per farsi aprire e prendere servizio.Il mio arrivo era già stato annunciato, così ci siamo infilate il grembiule e siamo partite alla volta delle consuete pulizie: oggi era importante porre attenzione ai marmi dei corridoi che coniugavano le stanze dei Signori col salone centrale.Il Palazzo era enorme, lussuoso e sereno.Le sue mille e più stanze erano colorate ed armoniose, si sentivano le chiacchere piacevoli delle cortigiane, la musica confortante del violoncello e del flauto dei giovani promettenti musicisti rieccheggiava per i corridoi.Persino la servitù era cordiale e lieta, affaticata dai numerosi impegni, ma non avvilita dalla condizione di sottoposti.Ero intenta a fregare il marmo rosa del pavimento del corridoio contiguo alla stanza dei Signori, quando i miei occhi videro ciò che tanto desideravo: il pittore Andrea Mantegna.Avevo tanto sentito parlare di lui dai miei fratelli, alquanto invidiosi delle sue doti pittoriche.Il Mantegna era praticamente l’ unico che di questi tempi sapeva rappresentare lo spazio negli ambienti che dipingeva come se veramente l’ osservatore vi fosse immerso.Sapeva utilizzare sapientemente la tecnica della prospettiva e tutto ciò che raffigurava sembrava prendere vita fuori dal muro della stanza.La finzione pittorica del quale era dotato lo rendeva il solo capace di mettere in scena l’ effetto illusionistico del vero.Feci appena capolino nella stanza dove si trovava intento a realizzare la Camera degli Sposi per i Signori di Mantova e ne rimasi impressionata!Il fiato mi si era fermato davanti alle pareti che sembravano aprirsi sul giardino e le persone uscire dal loro stesso ritratto, mi era sembrato di poterle udire nel chiacchericcio del loro vociare…ma lui mi aveva vista…“Chi siete? Che volete?”, diceva rivolto a me serioso.Avevo perso quasi del tutto la parola e l’ unica cosa che ero riuscita a proferire era “mancano gli animali per la caccia”, come rapita, non riuscendo a discostare lo sguardo dalla magnificenza di ciò che Mantegna stava realizzando.Mi era stato raccontato nelle lettere di Agata quanto fosse grande la sua bravura, avevo sentito nelle storie di pittori erranti che venivano da mio padre quanto quel Mantegna si stesse mettendo in auge alla corte di Mantova, ma niente di ciò che avevo udito poteva rendere la realtà di ciò che stavo ammirando.Non provavo nessuna invidia, non desideravo avere le doti delle sue mani, vedevo ciò che lui vedeva, nella stessa prospettiva, non mi importava più scoprire se fossi in grado di dipingere: la grandezza della sua opera aveva messo in moto la ruota dell’ Arte nelle mie dita e sentivo soltanto il desiderio di poter essere parte di quel Tutto affrescato li davanti a me.Non mi ero resa conto delle parole che stavano uscendo incontrollate dalla mia bocca e soprattutto non avevo valutato l’effetto che queste avrebbero avuto sul Mantegna.Non ricordavo più di essere la serva di palazzo, ero stata rapita dall’ affresco e i miei pensieri si erano lasciati trasportare nella riflessione di ciò che ancora di più avrebbe dato significato e valore al dipinto.“Una battuta di caccia senza i cavalli e i cani non si è mai vista”, questo ripetevano i miei pensieri e purtroppo la mia voce diede loro vita.L’ artista prese i suoi pennelli e la sua tavolozza, venne verso di me e me li mise fra le dita.Come se fossi stata avvolta dal sogno la mia mano si lasciò guidare dalla passione per la pittura e creai dal niente tutti gli animali necessari a dar il vero senso della battuta di caccia.Erano passate le ore e non mi ero accorta che i cortigiani mi stavano fissando dalla porta.Persino le sue Signorie erano accorse a mirare quella nuova fanciulla che in preda alla Creatività si stava lasciando guidare nelle forme e nei colori.Il Palazzo di Mantova era la culla degli artisti e nessuno mi aveva interrotta.Soltanto quando ebbi terminato anche l’ultimo cane, accovacciato sotto il tronetto, dissi “Ecco il simbolo della mia fedeltà ai Signori di Gonzaga”.Fu soltanto allora che voltandomi vidi tutta la corte e il grande Mantegna che stavano fissando ammutoliti il mio operato.La vergogna mi afferrò, appoggiai immediatamente i colori e la tavolozza e chiesi mille e più volte perdono per la mia sfrontataggine, mi inginocchiai davanti alle Signorie col capo chino in segno di profondo dispiacimento.“Chi siete in realtà? Le vostre mani delicate non sono di serva, il vostro talento non è stato appreso a bottega: voi siete nata pittrice!”.“Perdonate le mie bugie, dissi, e abbiate pietà di chi mi aiutò a realizzarle per poter entrare nella Vostra dimora, sono Nicolosia. Non volevo vivere senza aver potuto avere l’occasione di mettere mano ai colori, dedicherei tutti i miei giorni alla nobile Arte del dipingere.Sono fuggita alla mia famiglia per venire qui, dove Voi Signore avete la mente aperta per dare lo spazio necessario agli artisti, perdonate se vi sono sembrata falsa e approfittatrice. Aver dovuto mettere in scena una diversa personalità dalla mia, il coraggio mi ha guidata in questa scelta.Volevo scoprire se avessi veramente talento. Ora però che Voi avete disvelato la mia vera identità, potete decidere se accogliermi o rimandarmi a casa da mio padre. So ciò che dovrebbe essere una femmina e accetterò la Vostra decisione, adesso sono pronta perché so chi sono.”“Graziosa fanciulla, avete dimostrato più forza di spirito voi che alcuni generali che ho incontrato nella vita. Restate e dipingete. Voi siete nata per questo e ve lo siete meritato con il vostro coraggio.”Così il Signore di Mantova si pronunciò e si ritirò con la corte.Rimasi col Mantegna, incredulo.I nostri sguardi si incrociarono e senza proferire parola ritornammo ai nostri personaggi.Espressi soltanto un desiderio, che lui accettò di buon grado: volevo mettere la mia adorata Agata nell’alto della cupola, dove i Putti attorno a lei guardano dentro la stanza.La figura di quella forte e scura signora altro non è che la mia anima buona, colei che ha reso possibile questo dolcissimo epilogo.